Nomi curiosi, profumi accattivanti, profili gustativi unici, ma spesso un futuro poco roseo. E’ questo il destino di numerosi vitigni “minori” d’Italia, che tra le sue 545 varietà d’uva autoctone registrate ne conta alcune famose in tutto il mondo, ma anche molte che spesso faticano ad affermarsi perfino nel territorio di nascita a causa di difficoltà produttive, scarsa resistenza alle malattie o insufficiente appeal nei confronti degli amanti del vino. Va controcorrente il Centesimino, vitigno faentino che negli ultimi anni ha saputo ritagliarsi uno spazio sempre più importante nel panorama enologico, convincendo alla prova del calice sia i neofiti sia i wine lover più esperti.
Il nome del vitigno altro non è che il soprannome di Pietro Pianori, a cui si deve il salvataggio di questa uva destinata altrimenti a scomparire nel corso del secolo scorso. Il Centesimino, infatti, venne scoperto nel giardino del palazzo di Pianori, nel centro storico di Faenza, dove era rimasto protetto dalle mura casalinghe superando l’epidemia di fillossera, il parassita che distrusse quasi il 90% dei vitigni europei a cavallo del diciannovesimo e ventesimo secolo. Negli anni Cinquanta il vitigno fu portato nella residenza di campagna della famiglia, a Oriolo dei Fichi, e da qui si diffuse nelle campagne circostanti l’antica torre esagonale che domina il paesaggio.
In quel periodo veniva chiamato Savignǒn rosso forse perché, non essendo nota la provenienza, lo si voleva “innalzare” di rango con un nome francese. Recenti studi sul DNA del vitigno hanno escluso tuttavia provenienze straniere e il Centesimino è stato iscritto come varietà unica al Registro Nazionale delle Varietà di Vite nel 2004.
Oggi le aziende che coltivano il Centesimino si contano sulle dita di poco più di due mani e l’area vitata è di circa 22 ettari, eppure la fama di questo vitigno e del vino che ne deriva ha superato i confini della Romagna e, in alcuni casi, quelli nazionali. “Il merito del successo del Centesimino – racconta Alessandro Morini, titolare di Poderi Morini e socio della Strada della Romagna – risiede principalmente nella sua particolare aromaticità, i profumi marcati di rosa canina e frutti di sottobosco conquistano facilmente chi lo beve per la prima volta. Anche nella versione spumantizzata questo tratto gioca a suo favore. Inoltre nella versione passita la capacità di reggere gli abbinamenti con il cioccolato, caratteristica per nulla scontata, gli ha permesso di ottenere l’attenzione di grandi chef a livello nazionale, che lo hanno valorizzato benissimo”.
Nel 2017 l’Associazione per la Torre di Oriolo ha promosso la pubblicazione del libro “Centesimino di Oriolo”, in cui il degustatore e scrittore Francesco Falcone ha raccontato il legame speciale che unisce il Centesimino e con questo terroir, creando un unicum non replicabile altrove. “Il nostro Centesimino – sottolinea il presidente dell’associazione Mauro Altini, titolare anche della cantina La Sabbiona – merita il rango di vino di terroir proprio perché è impossibile pensare a questo profumato rosso senza associarlo subito a Oriolo dei Fichi e alla sua torre medievale”. Un buon motivo per organizzare una gita in questo angolo di Romagna appena si potrà tornare a muoversi liberamente e conoscere e apprezzare questo vino piacevolissimo.
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