Origini antiche, gusto moderno e un recente passato con qualche chiaroscuro a cui oggi fa da contraltare un avvenire promettente grazie alla riscoperta e alla valorizzazione delle sue caratteristiche migliori. Per brindare al ritorno della primavera non c’è niente di meglio che un calice di Romagna Trebbiano Doc, vino conviviale e versatile, perfetto tanto per un picnic a base di piadina e affettati quanto per una cena di pesce vista mare.
Allevato su una superficie di 14170 ettari, il Trebbiano è il vitigno a bacca bianca più coltivato dell’Emilia Romagna, dove spicca la provincia di Ravenna. La vendemmia 2020 ha portato alla produzione di 8.678 ettolitri, pari a 1,2 milioni di bottiglie: numeri importanti per una delle Doc più rilevanti della regione, anche se per il suo riconoscimento ufficiale, arrivato il 31 agosto 1973, la Romagna dovette tribolare dieci lunghi anni. Lo testimonia bene la prima pagina della rivista “La Mercuriale Romagnola” fondata da Alteo Dolcini, che nell’ottobre di quell’anno aprì con un articolo dal titolo felliniano “Amarcord”, riepilogando “l’incredulità, lo scetticismo, i dissensi, l’impazienza rabbiosa” che si registrarono dalla “prima proposta per ottenere questo altissimo blasone” fino al suo effettivo raggiungimento.
E dire che la presenza del Trebbiano Romagnolo sul territorio regionale è documentata fin dal XIV secolo dal bolognese Pier de’ Crescenzi (“C’è un’altra specie di uva, detta Tribiana, che è bianca con acini tondi, piccoli ed abbondanti, che in giovane età non dà frutto ma crescendo diventa feconda”) e nel Medio Evo viene addirittura annoverato tra i “vini di lusso”. Con il passare dei secoli, però, emerge un’immagine diversa del Trebbiano, considerato spesso un vino dal carattere semplice. La sua produttività e la capacità di adattarsi alle più diverse tipologie di terreno e condizioni climatiche ne facilitano la diffusione e l’utilizzo per la produzione di un numero importante di vini bianchi Doc fermi e frizzanti, sia dolci che secchi.
Tornando al Romagna Trebbiano Doc e arrivando ai giorni nostri, nel calice troviamo un vino di ottima freschezza, capace di regalare piacevolezza nel breve tempo ma anche di sorprendere i palati più selettivi per la sua evoluzione nel tempo. Per cogliere entrambi questi aspetti, la cui compresenza non è affatto scontata, basti mettere sul tavolo un paio di bottiglie che troviamo percorrendo la Strada della Romagna: il Floresco di Podere La Berta e il Corallo Argento dell’azienda agricola Gallegati, entrambi Romagna Trebbiano Doc in purezza prodotti in vigneti di collina.
Il primo, proveniente da uve coltivate a duecento metri d’altezza, è un racconto convincente fatto di sapidità, avvolgenza e profumi fragranti, che ne fanno un vino dal sapore intrigante e contemporaneo. “Il sorbo riportato in etichetta – spiegano dalla cantina – è una pianta molto rustica e longeva, che può vivere fino a 400 anni e che necessita di molta luce. Il Trebbiano fu il primo vitigno piantato nel nostro podere e lo vogliamo celebrare con una pianta che possa custodire al meglio la sua storia”.
Colore dell’oro e note iodate e salmastre predominano invece nella versione di Gallegati, proveniente da una vigna di cinquant’anni e capace di evolvere nel tempo mantenendo un sorso vibrante e teso tipico dei grandi vini bianchi internazionali. La riprova arriva dall’assaggio dell’annata 1999, quando ancora il Trebbiano si chiamava “Carlino”: un vino sorprendentemente bilanciato e dinamico con un allungo notevole e un finale verticale.
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