Per accertare la “romagnolità” di alcune minestre, quale migliore soluzione che la ricerca sul primo vocabolario della lingua di Romagna. Nel Morri (Morri, 1840) troviamo citati:
– “Caplet”: Agnellotti. Mangiare fatto di sfoglia di pasta ripiena di carne battuta e d’altro, che si cuoce in brodo per minestra.
– “Manfrigùl: Semolini, Ghianderini. Sorta di pasta ridotta in forma di piccolissimi granellini, che cotta si mangia in minestra.
– Passaden: Sorta di minestra, che è una specie di vermicelli fatti di pane grattugiato intriso con uovo, e cotti in brodo.
– Tardura: Panata. Minestra fatta di pane grattugiato e uova.
– Tajadell: Tagliatelli, Tagliolini, Tagliarini. Pasta ridotta in piccoli pezzetti per farne minestra.
Mancano probabilmente Garganelli e Strichetti (Farfalline), che sono tipici di aree ristrette della Bassa Romagna. Infatti ci riferisce Camporesi che esiste una “discontinuità alimentare fra Bologna da una parte, e Romagna e terre estensi dall’altra, che si riscontra anche nei modenesi macaron col petan che, sconosciuti a Bologna, rivivono in un’isola alimentare della Romagna del nord (Imola, Lugo) col nome di garganell” (Camporesi, 1974). Probabilmente il Garganello è una eredità estense, vista la localizzazione modenese e nell’antica Romandiola.
Caratteristiche del prodotto
La pasta foglia all’uovo tirata con il mattarello è più ruvida e porosa e riesce a far aderire meglio qualsiasi tipo di condimento.
Diffusione e Areale tipico di produzione
Tutta la Romagna, con particolare riferimento alla Bassa Romagna per quanto riguarda i garganelli.
Cappelletti
Arrivano le feste: tavole imbandite, famiglie riunite, piatti di cappelletti in brodo fumanti. Perché in Romagna, per licenza poetica, Natale fa rima con cappelletti. Gli amanti di tagliatelle, passatelli, garganelli e delle altre paste tipiche che si incontrano lungo la Strada della Romagna non se ne abbiano a male e continuino pure a mangiare i loro piatti preferiti. Ma un Natale senza cappelletti sarebbe come un Capodanno senza il brindisi: sul piano dei sapori mancherebbe l’essenza della festa.
Fin da sempre la cucina popolare romagnola ha visto il trionfo di zuppe e minestre in brodo. Solo dai tempi della Prima guerra mondiale, racconta il conte Manzoni nella sua opera “Così si mangiava in Romagna” (1986), “venne in uso di scolare il brodo, in cui erano stati cotti, sia i cappelletti romagnoli che i tortellini bolognesi e di portarli in tavola anche asciutti, conditi con ragù o altre salse preparati a parte e ricoperti di panna montata e abbondante formaggio parmigiano grattugiato di fresco”. Fu un cambiamento dettato anche da elementi socio-economici e culturali. In passato la pasta si mangiava con il pane, necessario per assorbire il brodo fino all’ultima goccia. I ritmi più frenetici e il minor bisogno di calorie dei decenni più recenti ha portato a sacrificare in parte pane e pasta e a preferire quest’ultima servita asciutta. A Natale, però l’orologio sparisce e alla bilancia si penserà sono quando i Magi avranno preso la strada di casa: spazio dunque ai cappelletti in brodo preparati a mano nei giorni che precedono le feste. Ma qual è il ripieno autentico dei cappelletti? Meglio non seminar zizzania e limitarci a dire che ne esistono due versioni principali: quella con solo formaggio e quella con la carne. Secondo alcuni la prima sarebbe la versione autentica – quella preferita anche da Pellegrino Artusi – mentre l’aggiunta della carne nel ripieno deriverebbe da una “contaminazione” della vicina Bologna. Il 30 settembre del 2006 la delegazione di Ravenna dell’Accademia Italiana della Cucina ha pubblicamente decretato, a Cotignola, la ricetta dei cappelletti così come si fanno nella Bassa Ravennate ovvero con ripieno di solo formaggio, che può essere con solo Parmigiano Reggiano o con un’aggiunta di formaggio molle (Raviggiolo o contadino). Un altro tema di discussione riguarda i cappelletti riscaldati. “Molti romagnoli sostengono giustamente che i cappelletti cotti per il pranzo di mezzogiorno sono più appetitosi, riscaldati, alla cena della sera – scrive sempre il Manzoni – infatti essendo rimasti più tempo a macerare nel loro brodo di cottura racchiudono in loro stessi più forza, fragranza e sapore”
In abbinamento
A pranzo o a cena, sicuramente saranno ancora più gustosi con un buon calice di Pignoletto Doc. Per cercare l’abbinamento perfetto ci spostiamo a Riolo Terme e scegliamo la bottiglia Zaffiro della Cantina Quadalti.
Un vino dai riflessi dorati e dai profumi freschi e fruttati che con il suo sapore caldo e morbido accompagnerà a meraviglia questo piatto delle feste.
Passatelli
Altra minestra tipicamente romagnola sono i passatelli, cilindretti da cuocersi in brodo, fatti d’un impasto d’uova, pane grattugiato e parmigiano che si passa attraverso una lastra metallica bucherellata”. Tra l’altro, in una nota relativa alla cucina bolognese, viene specificato che “I passatelli, per quanto di uso comune a Bologna, sono originari di Romagna, ove costituiscono una specialità” (T.C.I., 1931).
I Passatini o Passatelli rientrano anche tra i magiari di Romagna raccontati da Quondamatteo (Quondamatteo et al., 1975), nelle ricette di Artusi (Artusi, 1992), in quelle raccolte dal maestro Placci a Fusignano (Placci, 1977) e in molte altre raccolte di ricette: le varie versioni sostanzialmente differiscono solo nelle proporzioni di pangrattato e parmigiano, a seconda che si tratti di una ricetta popolare e di una di famiglia più agiata, e nell’eventuale aggiunta di noce moscata e buccia di limone grattugiata.
Interessanti le note di Quondamatteo et al. alla ricetta del Passatini: “Minestra nostrana (a Bologna, passatelli), più o meno autentici, ovunque. A Roma, però, i passatini o passatelli, sono poco conosciuti. Ciò a cagione della diversità del pane. Quando i romagnoli, residenti nella capitale, desiderano mangiarne, si fanno spedire dalle loro case di Romagna un pacco postale contenente il pane: tozzi di pane duro – i tràcle – da grattugiare. Pane grattugiato e parmigiano grattugiato, a metà: questa, la giusta dose. Meglio ancora se prevale di poco il parmigiano, e non viceversa. Nelle famiglie povere, naturalmente, la cosa è al contrario. La pasta va lavorata con forte pressione della palma della mano, aggiungendo pangrattato quando l’impasto appare morbido. V’è chi aggiunge ai citati ingredienti anche il semolino e una cucchiaiata di farina. A rendere i passatini più teneri, l’Artusi vi immette nell’impasto un poco di midollo di bue” (Quondamatteo et. al., 1975).
Tardura
La prima Guida gastronomica d’Italia (1931) segnala i Passatelli come piatto tipico del Ravennate e del Forlivese, insieme alla Tardùra: “Minestra caratteristica di Romagna, tradizionale del giorno di Pasqua, è la tritùra (tardùra), composta di pane grattugiato, tuorli d’uovo e formaggio, cotta in brodo di cappone e manzo.
In merito alla Tardùra ci riferisce anche Pozzetto (Pozzetto, 2004), indicandola come piatto preparato nei giorni che seguivano la nascita di un bambino, probabilmente per l’elevato valore nutritivo delle uova e del brodo.
Strichetti
Gli “Strichetti in brodo”, invece, ci vengono illustrati dal conte Manzoni nel suo “cucinario” di famiglia (territorio di Lugo), per essere la minestra tipica della cena di San Biagio (3 febbraio): “Tirare col matterello la pasta molto sottile e tagliarla in tanti quadretti di circa quattro centimetri di lato o rettangoli e unire insieme a metà del quadretto o del rettangolo con un pizzicotto due lati della pasta” (Manzoni, 1986). Una variante primaverile-estiva è quella degli strichetti con il ragù di piselli.
Manfrigoli
Ad inizio del Novecento, i Manfrigoli (Malfattini o Manfettini) dovevano essere ancora molto usati, visto che sono riportati nella Guida gastronomica d’Italia del 1931 come una delle minestre tipiche del Ravennate (T.C.I., 1931). Anche l’Accademia Italiana della Cucina riporta, tra i simboli della Romagna, la ricetta dei “Manfrigul” (Pollini e Zia Camilla, 2006), pezzi di impasto di uova e farina tagliati a “becco di passero” e cotti nel brodo di pollo o in un brodo di verdura con soffritto di lardo. Ancora oggi, nelle famiglie contadine romagnole è d’uso preparare i Manfrigoli con i fagioli nei giorni di magro (venerdì), una vera prelibatezza che è ormai impossibile trovare nei ristoranti e difficile da incontrare negli agriturismo.
Maccheroni di Patate
I Maccheroni di patata, un po’ diversi dagli gnocchi che vengono proposti oggi, erano una minestra caratteristica. “Sono formati con un impasto di patate lesse per quattro quinti e per un quinti di farina di grano. Vengono cotti in acqua semplice, conditi con burro, sugo e ragu di salsiccia” (AA.VV., 1956). L’impasto dei Maccheroni viene ridotto in lunghi budelli grossi come il dito medio della mano, poi tagliati a tocchetti (oggi ci si ferma qui) che, ad uno a uno, vengono modellati con un dito sul retro della grattugia: si ottiene così una sorta di maccherone, e non un semplice “tocchetto” o “gnocchetto”. Non si trovano quasi più, se non presso qualche famiglia contadina.
Tagliatelle
Le Tagliatelle, che pur non essendo un prodotto esclusivo della Romagna, hanno trovato in quest’areale un accoglimento particolare e alcune declinazioni uniche, come è il caso delle “Tagliatelle al sugo di fagioli, alla maniera di Cotignola” (All. E). Questa ricetta è stata pubblicamente decretata il 30 settembre 2006 dalla delegazione di Ravenna dell’Accademia Italiana della Cucina, perché si tratta di un piatto antico tipico dell’area di Cotignola, arrivato fino ad oggi grazie a Rosa Casadio, titolare dell’Antica Osteria da Rosa – E campanò (per i più anziani, “l’ustarèia d’Bisàca”), in cui il piatto veniva servito fin dall’anno della sua fondazione, il 1889. Ogni famiglia cotignolese adotta piccole varianti nella scelta delle erbe che si impiegano per il sugo.
Sagre e feste tradizionali in cui il prodotto viene preparato
Sagra delle sfogline – Massalombarda
Il cappelletto, specialmente asciutto, viene presentato negli stand gastronomici di diverse sagre.
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